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Brand awareness VS Lead Generation: l’eterna (inutile) lotta

Brand awareness VS Lead Generation: l’eterna (inutile) lotta


É da un po’ che volevo scrivere a riguardo. Questo tema così complesso che spesso divide il panorama del digital marketing, creando diverse scuole di pensiero, nate soprattutto con l’avvento e la scalata di alcuni formatori che semplicemente creano false illusioni divinizzando alcune materie, strumenti o canali, importando tendenzialmente dagli USA, che potenzialmente inserite in una strategia sartoriale, hanno senso e possono funzionare.

Di cosa parliamo?

La lead generation ovviamente!

Molte volte ho sentito sviluppare una strategia solo attorno a questa materia, come se possa bastare ed essere efficiente per creare un brand o per supportare (alla lunga) le vendite.

Invece, in questo articolo voglio parlare del trade – off tra attività di brand awareness e vendite e quindi lead generation!


Innanzitutto definiamo di cosa stiamo parlando, per:

 

BRAND AWARENESS intendiamo tutte quelle attività che servono a far conoscere e riconoscere il proprio brand o prodotto al tuo potenziale target di riferimento, utilizzando un tipo di comunicazione che miri a posizionarti in modo chiaro e far riconoscere la propria USP (unique selling proposition, ossia la proposta unica di vendita) ed infine la reason why (ossia spiegando il perché il tuo target dovrebbe acquistare o scegliere il tuo brand/prodotto rispetti agli altri).

LEAD GENERATION intendiamo quel processo volto a creare un flusso di contatti costanti e in target che possano poi generare vendite. Tendenzialmente, grazie alle tecniche di direct marketing che riescono a giocare su leve razionali ed emotive, tali da persuadere il target a compiere l’azione da noi desiderata. Nella gran parte dei casi, si tratta di azioni che creano un contatto con il Brand/Azienda rilasciando di propria volontà e consapevolezza i propri contatti, come l’iscrizione alla newsletter, richiesta di consulenza, richiesta demo se parliamo di un software o azioni simili.

 

Bene, definiti i due aspetti, la domanda che spesso le aziende si fanno è: posso e dobbiamo perseguire entrambi gli obiettivi? Spesso, l’errore comune è quello di mettere in secondo piano tutte le attività di branding e di posizionamento per concentrarsi solo ed esclusivamente sulla lead generation.

In realtà, come cercherò di mostrarti in modo semplice con questo articolo, le attività di branding servono quanto quelle di vendita e, sopratutto, ognuna va a supporto dell’altra.

Tendenzialmente, se volessimo banalmente classificarle in ordine temporale strategico, le attività di awareness servono sostanzialmente come obiettivo a lungo termine e difesa, mentre quelle di lead generation e quindi di vendita hanno obiettivi a breve termine e di attacco.

Facciamo un esempio concreto:

Arriva un’azienda che ha come prodotto dei profumi innovativi e non sconosciuti al mercato. L’obiettivo é di aumentare la rete commerciale inserendo il proprio prodotto all’interno delle profumerie (target B2B).

 

Come potremmo noi facilitare il compito?

Miscelando sapientemente attività di branding, che mirino a stimolare la cosiddetta domanda latente DEI CLIENTI FINALI con lo scopo di portare le persone a CHIEDERE CONSAPEVOLMENTE il prodotto all’interno dei centri estetici (attività push da parte del target finale che ci interessa intercettare e coinvolgere per agevolare la Lead Generation).

Allo stesso tempo, andare a sviluppare una strategia per intercettare e coinvolgere i centri estetici (B2B) giocando sulla leva: “guarda quante persone te lo stanno chiedendo, è un’ottima opportunità di business che non dovresti farti scappare”. Facilitando così la trattativa, perché già ci conosce come un Brand richiesto.

Cosa abbiamo fatto? Abbiamo lavorato anche sul CLIENTE FINALE del nostro target di riferimento, così da andare a stimolare entrambi e quindi miscelando sapientemente questi due aspetti, possiamo perseguire gli obiettivi che ci siamo dati. Ovviamente è un esempio ed i concetti toccati e da toccare meriterebbero un approfondimento maggiore, ma spero sia passato il messaggio lo stesso.

Ecco spiegato brevemente a cosa ANCHE può servire un’attività corale che porti a sviluppare il proprio brand e di come sia sbagliato alimentare sempre e solamente l’attività di lead generation.

Anche in virtù del fatto che grazie alla brand awareness, possiamo posizionarci nella testa delle persone e quindi ottimizzare i budget di investimento in advertising e quindi lavorare anche sul WOM (word of Mouth).

Per far percepire maggiormente il concetto, Aaker ha riassunto brillantemente nella creazione della cosiddetta “piramide di Aaker” il concento di awareness e top of mind.

 

Secondo Aaker, possiamo dividere la capacità del brand di essere riconosciuto in 4 livelli:

 

  1. Brand sconosciuto se il target non conosce ancora la vostra esistenza oppure non avete molto valore;
  2. Brand recognition i tuoi potenziali clienti vedono il marchio o un vostro prodotto e sono in grado di riconoscervi tra gli altri brand;
  3. Brand recall il target sono in grado di richiamare attraverso la loro memoria il tuo brand senza aver visto una campagna nel breve periodo;
  4. Top of mind il target di riferimento vi associa alla categoria merceologica, esempi possono essere Rimmel, Borotalco, Coca-cola, Redbull e Scootch. Questo è il massimo che un brand possa aspirare, ossia detenere la categoria con il proprio nome.

 

La scalata della piramide si sviluppa creando relazioni tra il target ed il proprio brand, cioè aiutando le persone a prendere una chiara e netta idea di quello che offri e soprattutto quello che sei.

 

E se sono una piccola PMI devo investire nel brand?

Spesso, mi capita di parlare con imprenditori che si sentono sollevati dall’investire in quello che è alla base di ogni qualsiasi attività di posizionamento ed awareness del proprio brand, giustificando il fatto che sono piccoli e che per loro queste attività “sono inutili”. Cavolata più grossa non si può pronunciare.

L’attività di vendita attraverso la lead generation serve per avere forza economica per sviluppare iniziative di brand awareness e queste ultime hanno lo scopo da “facilitatore” alle vendita. Convinto ancora che si possa fare a meno?

Un dato interessante è la predisposizione da parte del possibile target di riferimento ad essere “infedele” se il brand si posiziona solo ed unicamente con la leva del prezzo.

Interessante una statistica che indica come il 70% delle persone ricerca sul proprio smartphone il prezzo inferiore di un certo prodotto mentre lo si sta vedendo e toccando con le proprie mani. Il 40% poi di esse ACQUISTA sempre all’interno del negozio, lo stesso prodotto ad un prezzo inferiore.

Come possiamo ovviare in parte questo fenomeno?
La soluzione è quella di intercettare il cliente prima, quando si informa o in modo latente ha dimostrato interesse in un certo tipo di prodotto e quindi lavorare sulla granularità del target, per poi portarlo alla fase decisionale verso il proprio brand.

 

Possiamo misurare le attività di Brand Awareness?

 

Uno dei motivi che porta alcune agenzie e clienti a non sviluppare una strategia di brand awareness è spesso confutabile sul fatto che è poco misurabile in termini di numeri rispetto ad una certezza delle KPI che la lead generation può dare.

Quindi, i clienti spesso parlano di “soldi persi” perché non sanno calcolare un ROI da queste azioni e le agenzie difficilmente si metterebbero contro un potenziale cliente che ha imparato che quasi tutto è misurabile rispetto a qualche anno fa, ma proviamo a fare uno sforzo e capiamo quali possono essere delle metriche interessanti da valutare.

Traffico diretto al tuo sito
Avere dei potenziali clienti che conoscono a memoria il proprio url del brand è un chiaro segno del fatto che siamo riconosciuti e presenti nella testa. Nella piramide di Aaker si parlerebbe della cosiddetta Brand Recall.

Earned media
Possiamo oggi giorno utilizzare strumenti che ci permettono di trovare chi parla di noi (mention) analizzando anche il sentiment (positivo o negativo) che è presente attorno al nostro brand, possiamo capire il numero di articoli, condivisioni, numero di persone che ne hanno parlato e la portata di tale fenomeno.

Link esterni
Grazie alla link building, possiamo misurare l’efficacia di una menzione fatta da una fonte più o meno autoritaria rispetto al brand e questa aiuta anche la parte SEO (indicizzazione del sito) oltre a creare autorità attorno al brand. Potete visualizzare questa voce all’interno del pannello di Analytics alla voce “referral” oppure utilizzare dei tool esterni specifici.

Social engagement
Misurare l’impatto del vostro brand all’interno dei social di riferimento è importante, questo vi da una idea che hanno le persone del tuo brand. Come tutte le cose, è uno dei parametri da prendere in considerazione. Non l’unico sennò si cadrebbe nell’errore di credere solo ai numeri di grosse dimensioni, rispetto ad analizzarne la qualità delle interazioni (che è la cosa più importante che ci interessa).

Community reach
Il business da anni si dice stia andando non più verso la visione schematica “B2B/C”; ma si sta lasciando spazio sempre di più ad un nuovo termine: H2H ossia human TO Human. Questo è un cambio epocale avvenuto grazie anche all’abbattimento dei 7 gradi di separazione e soprattutto con l’avvento di una comunicazione diretta ed amichevole tra i brand ed il proprio target sui social.

La crescita di una community è quindi alla base anche di una metrica che può indicare interesse attorno al proprio brand e quindi è importante capire il Delta di crescita di tale KPI senza però perdere d’occhio il sentiment (il perché se ne parli non ha mai funzionato, soprattutto nell’epoca della trasparenza e dei social).

Ricerca del volume mensile
Utilizza la console di Adwords per poter misurare il volume generato dalle persone che cercano in modo pro attivo il tuo brand, con le dovute variazioni, ed analizza il come ne parlano soprattutto.

Per misurare questi parametri, bisogna creare obiettivi brevi, intermedi e di conversione finale in google Analytics divisi per canale. In questo modo potrete analizzare una campagna di branding sviluppata attraverso l’invio di una DEM (Esempio) o altro.

 

Quindi, chi vincerà questa eterna lotta?

Se dovessimo semplificare in un grafico dove inizia il lavoro di branding e dove finisce quello di lead generation, ho pensato di sviluppare con questo post un esempio visivo di come le due materie sono complementari e l’una sia in funzione dell’altra.

Come possiamo vedere, le attività di branding in un primo momento sono INDISPENSABILI per posizionare e far conoscere la propria azienda/prodotto ma, nel lungo periodo, ti permetteranno di ridurre gli sforzi ed aumentare i risultati dalle attività di Lead Generation e durante le trattative di vendita.

Questo è un argomento davvero complesso e delicato. Così tanto da aver bisogno di molto più tempo per affrontare le tante sfumature per ogni caso specifico ma, per questo, ci sono le sedi giuste.

Ora voglio semplicemente ringraziarti per aver letto l’articolo e invitarti a lasciare un parere o qualche domanda se ne senti la necessità.

A presto,

Michele Riccio
CEO e Co-Founder Ribrain

 

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Michele Riccio
Michele Riccio

Con Pasquale, è parte attiva della creazione e programmazione della digital strategy, gestisce tutta la parte commerciale e le relazioni esterne, supportando anche nella gestione delle risorse interne. Schietto e autentico, accompagna sempre le sue parole con gesti magnificamente esplicativi.